Paolo Bellucci

 Come bellezza uccide
(a Riccardo De Arcangelis)

Scintilla la nebbia all’alba
è oro e fumante incenso
che veste da regina la montagna
riverbera ogni pietra e corso d’acqua
ho il piede sul sentiero e il cuore in vetta
spiccare un lungo passo verso il cielo
nell’ebbrezza che cancella la paura
troppo presto, troppo in fretta
conoscere prima di aver compreso
come bellezza è vita
come bellezza uccide.

Un filo di sottile lucentezza

Un filo di sottile lucentezza

mi guida in questa Terra

ad aeree solitudini

più spesso tra fumosi bassifondi

dove non scorgi il solco

che l’Eterno con fatica affonda

per guadagnarsi il tempo,

dove, tra sampietrini e basoli

calarono le acque imperiture

ad altre più profonde plenitudini.

Pure talora ci sorprende

lo scintillio sopra una forma netta

un riverbero d’origine imprecisa

il dono dell’altitudine

la levigata roccia, il puro mezzo.

Terra inviolata

 

 Apro il balcone a un balenio d’autunno

e vola con la polvere il pensiero

a una terra inviolata, alta, soprana

di pietra cesellata e luce pura

ed ondulate zolle di erba chiara

nascosta al domani e all’oggi

all’incubo del tempo

alla tristezza

terra vicina agli angeli

ad ogni riposto transito dell’anima

ad ogni creatura amica

a ogni bellezza.

Alto 

 

Alto.

Sotto di noi il vuoto

più in basso ancora

macchie di giallo e verde.

Oltre,

bianche montagne

lontane come i sogni dell’infanzia.

Tace un momento il vento

ed è silenzio.

Solo una brezza sottile

carezza la neve sonora

come un’arpa.

“Presto, scendiamo!

Che non ci sorprenda il buio ancora in cima!”

Ecco la gioia spartana dell’alpinista,

sporgere uno sguardo affaticato

su uno squarcio d’immenso,

stringere una croce di ferro

su un incudine di roccia,

fratelli ai selvatici viventi

assaporiamo una dolcezza impervia

da corolle di pietra

gareggiando col sole

perché non scenda la notte come un cuneo

e si possa guardar su

da porto sicuro

il brillare delle stelle alieno

sopra una terra che non è dell’uomo. 

 

Corno Piccolo, maggio 2006.

Primavera

  

Fonde la crosta bianca

colliqua argento in loculi d’azzurro

traversa il cieco cardine

si abbassa obliqua ad assolati verdi

si gonfia il cielo d’indaco

riversa e sgronda grazia picchettante.

Spuma azzurrata e fredda una battigia

onda rilava sponda alla murata

sponda richiama il tuono del frangente.